Autore: Alberto Brugnoli, Managing Director di Strategy Innovation e docente di Economia Aziendale presso l’Università Ca’ Foscari Venezia.
Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo della cultura della sostenibilità ambientale nelle aziende. Grazie all’azione delle Istituzioni deputate, del Legislatore Europeo e del “fenomeno Greta”, molte organizzazioni – se non tutte – hanno quantomeno problematizzato come poter ridurre il proprio impatto ambientale e poter contribuire al cambio di rotta globalmente ricercato sul fronte del climate change. La nascita di culture e sottoculture aziendali legate a questo tema apre ora nuovi scenari: la consapevolezza di generare impatti non solo economici proietta verso nuovi modi di fare impresa, tutt’altro che ostili alla logica del profitto, ma tesi all’obiettivo strategico di generare valore condiviso. La rivoluzione teorizzata da Porter e Kramer nel 2011 può, finalmente, iniziare a livello sistemico.
La visione di sostenibilità
In mezzo allo sterminato ventaglio di azioni perseguibili per generare valore condiviso, ogni azienda si inizia a interrogare su quale sia il suo ruolo, il suo dovere, il suo compito, la sua visione. Quale sia, cioè, il modo di porsi verso questo tema per essere coerenti con la propria identità – profonda ed immutabile – e, conseguentemente, con la propria brand identity. Per le organizzazioni, la sostenibilità è un tema tutt’altro che filantropico. È un tema puramente strategico: da esso dipenderà la capacità di generare valore nel medio periodo, la propria economicità, il proprio posizionamento, i (necessari) cambiamenti nel proprio modello di business. Insomma, la sostenibilità è il piano A, e non c’è un piano B. Come per ogni tema strategico che un’organizzazione intende affrontare, essa può affidarsi al caso, all’istinto, al buon senso, a quello che chiede il mercato o il Legislatore (tutte caratteristiche delle aziende di risposta) oppure alla pianificazione e all’innovazione, per ricercare nuove fonti di vantaggio competitivo e un migliore posizionamento rispetto alla concorrenza (caratteristiche invece delle aziende di proposta). E prima di pianificare, occorre sapere perché lo si sta facendo: quali sono i valori immutabili che orientano le scelte, qual è lo scopo esistenziale dell’organizzazione, quali sono le modalità con cui tali valori sono messi al servizio dello scopo e, infine, qual è il raggio d’azione. Solo nella piena consapevolezza di questi elementi identitari sarà possibile definire strategicamente una visione di sostenibilità. E solo allora la pianificazione della sostenibilità diventerà strategica e le organizzazioni sapranno generare valore condiviso.
#Ambiente
- clima (E1)
- inquinamento (E2)
- acqua e risorse marine (E3)
- biodiversità ed ecosistemi (E4)
- economia circolare (E5)
#Sociale
- forza lavoro propria (S1)
- forza lavoro nella catena del valore (S2)
- comunità interessate (S3)
- utenti finali/consumatori (S4)
#Governance
- gestione dei rischi e controllo interno (G1)
- conduzione degli affari (G2)
SOSTENIBILITÀ ANCHE SOCIALE E “DI GOVERNANCE”
Non è solo retorica, non è solo comunicazione. Certo, a cose fatte occorrerà comunicarle al meglio (anche le regole per comunicare la sostenibilità sono profondamente diverse dalle regole della comunicazione a cui le organizzazioni sono abituate!). Ma (pre)occuparsi di sostenibilità strategica significa considerare tutte le sue “gambe”. A partire dal 1994 – con la Triple Bottom Line – la sostenibilità economica e quella sociale hanno trovato un loro spazio ben definito. Tralasciando la complessità dei diversi framework esistenti per inquadrare, pianificare e rendicontare la sostenibilità (Global Compact, GRI, ESG, SDGs, ecc.), è importante soffermarci su quanto stia accadendo proprio in questi giorni in Europa e che – prestissimo – toccherà tutte le organizzazioni: l’accordo tra Consiglio e Parlamento Europeo sulle scadenze della direttiva “CSRD” (Rendicontazione non finanziaria, alias Bilanci di Sostenibilità). Non sono tanto le scadenze il nocciolo della questione: presto o tardi arriveranno per tutti. La parte più importante sta nel “cosa” arriverà: l’obbligo di rendicontare cosa si è fatto, cosa si sta facendo e cosa si farà in ambito di ambiente, sociale e governance. Sono fresche di pubblicazione le bozze dei nuovi ESRS emanati dell’EFRAG: ogni organizzazione dovrà dire (o assumersi la responsabilità nel non avere niente da dire) su questi temi.
I vantaggi
Stanti gli “obblighi” attuali e futuri, due sono le opzioni. Porsi passivamente verso il cambiamento e fare il minimo necessario, oppure anticipare l’avvento del nuovo paradigma e cercare di estrarre dalle mutate condizioni il maggior vantaggio possibile. Pianificare strategicamente la sostenibilità non significa quindi trovarsi innanzi a obiettivi utili per il proprio business (o necessari per essere compliant) in termini di riduzione di carbon emission, water consumption, ecc., ma riuscire a innovare il proprio modello di business – in alcuni casi radicalmente, in altri in senso incrementale – per guadagnare un posizionamento dominante nel nuovo scenario competitivo. Significa attrarre e trattenere talenti in ottica di employer branding, ripensare i “luoghi aziendali”, rinnovare ed efficientare i processi, rivedere la propria distribuzione e le strategie di comunicazione, riconcepire prodotti e servizi (anche in senso sociale), immaginare nuovi mercati, promuovere lo sviluppo della comunità e del territorio a cui si appartiene, attivare nuove relazioni e nuove tipologie di rapporti con gli attori di filiera, rivedere l’impianto di risk management e le politiche di governance. Insomma: mettere in discussione il proprio modello di business per ridefinire la propria value proposition. Non perché qualcuno lo chiederà, ma perché sarà l’unica via per mantenere e migliorare il proprio vantaggio competitivo.
LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA DELLA SOSTENIBILITÀ
Pianificare strategicamente la sostenibilità è un percorso trasformativo che tocca le corde profonde di un’organizzazione, che prima di tutto deve essere disposa a mettersi in discussione. Lo deve poter fare avendo chiara la propria visione di sostenibilità e nell’ottica di elaborare e validare nuove strategie per generare valore condiviso e migliorare il proprio vantaggio competitivo: curare il Benessere dei propri collaboratori (Welfare & Wellbeing buisness model), migliorare i propri processi e allungare la vita dei propri prodotti (Green & Circular business model), riconcepire i propri prodotti e mercati (Social Need business model), spingere il progresso delle comunità e dei territori (Social Intimacy business model) e re-immaginare nuove configurazioni della propria filiera (Fair Trade business model).
WELCOME & STRATEGY INNOVATION
Strategy Innovation è una società di ricerca e consulenza nata come spin-off universitario che si occupa di accompagnare le imprese nell’innovare le proprie strategie. Le aiuta a definire in maniera distintiva il loro purpose, a immaginare gli scenari futuri per cogliere nuove opportunità sul mercato e trasformare i loro modelli di business, nella consapevolezza che l’innovazione sia il mezzo e la sostenibilità sia il fine. Welcome e Strategy Innovation collaborano per diffondere questo paradigma e preparare le imprese al cambiamento in arrivo: aiutarle a prevedere, pianificare e attuare.
“Non c’è niente di peggio che comunicare di essere sostenibili, ma non esserlo per niente. Forse una cosa sì: essere sostenibili e non comunicarlo”.