A rafforzamento della crescente consapevolezza dei falsi claim, secondo una ricerca condotta da The Fool con la piattaforma Audiense, solo il 2% dei consumatori crede alla veridicità delle dichiarazioni ambientali delle aziende. Secondo Greendex, inoltre, il fenomeno dei falsi claim porta a una sfiducia generale rispetto alla categoria di prodotti “green” e diventa uno dei motivi principali per il mancato acquisto degli stessi.
Se “tingersi di verde” è una necessità evidente per i brand e affrontare tematiche di sostenibilità è imprescindibile per stare al passo con l’evoluzione dei mercati, nessuno escluso, così anche il target ci riserva delle novità.
Oggi, clienti, consumatori e stakeholder più in generale sono sempre più accorti perché informati; la tendenza verso dibattiti estremizzati e, talvolta, a teorie complottiste che si è accentuata dopo la pandemia da Covid, incoraggia poi la diffidenza e l’aumento di una prospettiva di crescente ricerca di risposte più esaustive e di contenuti chiari e misurabili.

Così, la competizione per la conquista della scena social e non, non si combatte più sulla trasmissione o meno delle informazioni relative ai percorsi di sostenibilità, quanto sull’efficacia e sulla veridicità delle informazioni comunicate.

I rischi del greenwashing: una materia complessa e come evitarlo

Il rischio è inerente alla reputazione, l’opportunità è di posizionarsi come un riferimento per la propria filiera e per i propri stakeholder, dai dipendenti ai clienti e consumatori.
Così, la comunicazione della sostenibilità oggi va incontro a regole più stringenti che da un lato penalizzano le cattive condotte e dall’altro danno luce e valore a chi, con impegno e costanza investe e attiva percorsi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Il 26 novembre 2021 è stata emessa la prima sentenza in Italia contro attività di Greenwashing. Un’ordinanza cautelare del Tribunale di Gorizia ha decretato la pena per chi si macchia di Greenwashing introducendo un precedente, dal quale sembra impossibile (e ci auguriamo che sia così) tornare indietro.
Non solo. I risvolti negativi a livello di reputazione sono pesanti e difficili da scardinare e hanno un impatto non solo sulla singola azienda ma su tutto il sistema legato al prodotto o servizio in questione.
Purtroppo, esistono numerosi casi di aziende cui sono stati evidenziati episodi di Greenwashing, responsabili di diffondere false testimonianze su benefici ambientali oppure dati non misurabili.
Dal punto di vista degli stakeholder dell’azienda, riconoscere una “eco-bugia”, richiede competenza, attenzione e capacità di verificare e incrociare le fonti. Dal lato aziendale invece, possiamo identificare “i 7 peccati del Greenwashing” da evitare.

1. Omessa informazione (hidden trade-off), si commette suggerendo che un prodotto sia “green” sulla base di un limitato insieme di caratteristiche, senza porre attenzione ad altre importanti problematiche relative all’ambiente.
2. Mancanza di prove (no proof), si commette ogni volta che si fanno affermazioni sulla natura green di un prodotto che non sono sostenute da dati, informazioni o evidenze facilmente verificabili o da una certificazione
indipendente.
3. Vaghezza (vagueness), si commette quando le affermazioni sono così generiche o imprecise che il loro reale significato non è comprensibile dal consumatore.
4. Irrilevanza (irrelevance), si commette quando le affermazioni possono essere veritiere, ma sono irrilevanti o non aiutano il consumatore nella selezione di prodotti ecologicamente preferibili.
5. Minore dei due mali (lesser of two evils), si commette quando le affermazioni possono essere vere all’interno di una specifica categoria di prodotti, ma tendono a distrarre il consumatore dal fatto che il consumo di quello
specifico prodotto ha di per sé un grande impatto ambientale.
6. Mentire (fibbing), si commette quando si fanno affermazioni semplicemente false.
7. Adozione di false etichette (worshipping of false labels), si commette quando attraverso parole, immagini o simboli un prodotto dà il falso logo del patrocinio o della certificazione da parte di un soggetto indipendente,
tipicamente attraverso falsi marchi.

Le 7 virtù per comunicare la sostenibilità greenwashing-free

Come approcciare quindi una comunicazione corretta ed efficace?
Come per tutta la strategia comunicativa, anche quella riferita ai temi della sostenibilità non fa eccezione nell’avere chiaro come punto di partenza:

A. quali sono i contenuti da veicolare
B. a quale target sono indirizzati
C. attraverso quale linguaggio e quali canali sia più opportuno veicolarli per rendere la comunicazione stessa chiara, efficace e coerente con la propria identità di marca.

Sono invece fallimentari informazioni incapaci di “arrivare” al target identificato, perché utilizzano un linguaggio e/o strumenti e/o tempi inadeguati rispetto alle caratteristiche del destinatario identificato (es.: troppo tecnica e/o approfondita e dettagliata) oppure informazioni che, veicolando un messaggio ambientale falso, ingannevole o irrilevante, finiscono per danneggiare l’azienda in termini di immagine e competitività sul mercato.

Ecco le 7 regole da seguire per una comunicazione greenwashing free.

1. Chiarezza, si ottiene descrivendo in maniera diretta risultati raggiunti e obiettivi futuri che l’azienda si pone nei confronti dei propri clienti, dipendenti e della società;
2. Accuratezza e Specificità, si ottiene con un’informazione che è esplicita e determinata rispetto ai modi ed alle condizioni necessarie affinché il beneficio ambientale connesso al prodotto si possa manifestare; l’informazione
in questo caso è completa e verificabile;
3. Rilevanza, per l’area o per i destinatari presso cui l’impatto si produce, si ottiene evitando di enfatizzare benefici preesistenti del prodotto o connaturati al suo utilizzo, come innovazioni rilevanti e, al contrario, identificando unicamente ciò che è davvero significativo per l’oggetto cui si riferisce (prodotto, processo, …);
4. Coerenza di contenuto, si ottiene facendo una comunicazione in linea con la pianificazione aziendale a 360 gradi, nonché la sua identità e il percorso di sostenibilità intrapreso;
5. Attendibilità, si ottiene comunicando informazioni accompagnate dall’utilizzo di dati ottenuti applicando metodologie diffuse, riconosciute e riproducibili, ovvero certificate da parti terze, o, ancora, accompagnate
dall’indicazione dalla fonte dalla quale poter approfondire;
6. Comparabilità, si ottiene con l’attendibilità dei dati e dalla loro misurazione secondo standard riconosciuti;
7. Visibilità e trasparenza si ottengono attraverso la disclosure di tutte le pratiche utili alla verifica e all’aggiornamento delle iniziative intraprese dall’azienda.

(“Linee guida per il marketing e la comunicazione ambientale” Assolombarda)

Ciò che risulta chiaro ormai è che la sostenibilità aziendale sia divenuta un argomento serio, sempre più normato e regolato.
Oltre a ciò, dobbiamo sempre considerarla un processo di cambiamento aziendale, connesso a obiettivi di transizione strategici e win-win, ovvero che portano benefici all’ambiente, alla società e all’impresa stessa.
La grande sfida sta nell’attuare questi meccanismi attraverso la costruzione di piani di sostenibilità aziendali solidi, misurati e coerenti. Se l’azienda ha già fatto questo passo, la comunicazione della sostenibilità diventa quasi una naturale conseguenza derivante dall’implementazione del piano.
Se, al contrario, non vi è ancora un piano di sostenibilità, la comunicazione dovrà essere attenta e dettagliata, se non addirittura umile.
Vi immaginate un’azienda che produce oggetti in plastica di fronte alla necessità di comunicare il suo percorso di sostenibilità con chiarezza e veridicità?


Ecco il caso della comunicazione dell’impegno reale di Lego

Anna Tirindelli
Strategy Innovation per Welcome